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Accesso ai documenti ed emissioni nell’ambiente

Accesso ai documenti e il concetto di Emissioni nell’ambiente – Glyphosate - (CAUSA T-545/11 RENV)

Sulla portata della controversia

A seguito delle precisazioni fornite dalle ricorrenti, come già rilevato ai punti da 22 a 24 della sentenza di primo grado, non contestati nella sentenza sull’impugnazione, occorre limitare il procedimento alla parte del documento controverso contenente informazioni sul grado di purezza della sostanza attiva, sull’«identità» e sulla quantità delle impurità presenti nel materiale tecnico, sul profilo analitico dei lotti e sulla composizione esatta del prodotto sviluppato, come precisate dalle ricorrenti all’udienza del 26 febbraio 2013. Per quanto concerne le impurità, le ricorrenti hanno dichiarato che il loro intento era di conoscere le altre sostanze chimiche prodotte nel corso del processo di fabbricazione del glifosato e la loro quantità. Riguardo al profilo analitico dei lotti presentato dalle imprese per i test, esse hanno fatto presente di voler conoscere il contenuto e la composizione dei lotti, in particolare le altre sostanze chimiche aggiunte, nonché la descrizione dei test e i loro effetti reali.

In diritto

A sostegno del ricorso, le ricorrenti deducono tre motivi. In primo luogo, esse ritengono che l’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001 non attribuisca alcun diritto di veto a uno Stato membro e che la Commissione possa discostarsi dalla posizione di quest’ultimo in merito all’applicazione di una deroga prevista dall’articolo 4, paragrafo 2, del medesimo regolamento. In secondo luogo, esse sostengono che la deroga al diritto di accesso diretta a tutelare gli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica deve essere esclusa, sussistendo un interesse pubblico prevalente che giustifica la divulgazione delle informazioni richieste concernenti le emissioni nell’ambiente. In terzo luogo, esse deducono che la decisione impugnata non è conforme all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 e all’articolo 4 della convenzione di Aarhus, poiché la Commissione non ha valutato il rischio effettivo di un pregiudizio agli interessi commerciali fatti valere.

Sul primo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001
Con il primo motivo, le ricorrenti sostengono che l’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001 non può fondare il diniego di divulgare informazioni o limitare il potere della Commissione al solo esame prima facie dell’applicazione delle eccezioni invocate dallo Stato membro. Ciò discenderebbe, da un lato, dalla sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione (C-64/05 P, EU:C:2007:802), e, dall’altro, dall’applicazione del regolamento n. 1367/2006 nonché da un’interpretazione della normativa dell’Unione europea che sarebbe conforme alla convenzione di Aarhus.
La Commissione sostiene che occorre respingere l’argomentazione delle ricorrenti.
In primo luogo, occorre ricordare che il regolamento n. 1049/2001, come risulta dal suo considerando 4 e dal suo articolo 1, è volto a dare la massima attuazione al diritto di accesso del pubblico ai documenti in possesso di un’istituzione. In forza dell’articolo 2, paragrafo 3, di detto regolamento, tale diritto riguarda non solo i documenti elaborati da un’istituzione, ma anche quelli che quest’ultima riceve da soggetti terzi, compresi gli Stati membri, come esplicitamente precisato all’articolo 3, lettera b), del medesimo regolamento.
Tuttavia, l’articolo 4 dello stesso regolamento prevede eccezioni al diritto di accesso a un documento. In particolare, il suo paragrafo 5 dispone che uno Stato membro può chiedere ad un’istituzione di non divulgare un documento da esso proveniente senza il suo previo accordo.
Dalla giurisprudenza risulta che l’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001 ha carattere procedurale, limitandosi a prevedere la necessità di un previo accordo dello Stato membro interessato nel caso in cui quest’ultimo abbia formulato una domanda specifica in tal senso e riguardando il processo di adozione di una decisione dell’Unione (sentenza del 18 dicembre 2007,
Svezia/Commissione, C-64/05 P, EU:C:2007:802, punti 78 e 81).
A differenza dell’articolo 4, paragrafo 4, del regolamento n. 1049/2001, che riconosce ai terzi – nel caso di documenti provenienti da questi ultimi – unicamente il diritto di essere consultati dall’istituzione interessata in merito all’applicazione di una delle eccezioni previste ai paragrafi 1 e 2 del medesimo articolo 4, il paragrafo 5 del medesimo articolo prevede che uno Stato membro possa chiedere a un’istituzione di non divulgare un documento da esso proveniente senza il suo previo accordo.
È stato dichiarato che, qualora uno Stato membro abbia esercitato la facoltà, riconosciutagli dall’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001, di chiedere che uno specifico documento da esso proveniente non sia divulgato senza il suo previo accordo, l’eventuale divulgazione di tale documento da parte dell’istituzione avrebbe reso necessario il suo accordo (sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione, C-64/05 P, EU:C:2007:802, punto 50).
Ne consegue che, a contrario, l’istituzione che non disponga del previo accordo dello Stato membro interessato non è libera di divulgare il documento medesimo (sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione, C-64/05 P, EU:C:2007:802, punto 44). Nella specie, la decisione della Commissione relativa alla domanda di accesso al documento controverso dipendeva, quindi, dalla
decisione adottata dalle autorità tedesche nell’ambito del processo di adozione della decisione impugnata. Tuttavia, dalla giurisprudenza emerge che l’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001 non conferisce allo Stato membro interessato un diritto di veto generale e incondizionato che gli consenta di opporsi, in modo puramente discrezionale e senza dover motivare la propria decisione, alla divulgazione di qualsiasi documento in possesso di un’istituzione per il sol fatto che detto documento provenga dallo Stato membro stesso (sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione, C-64/05 P, EU:C:2007:802, punto 58). Infatti, l’esercizio del potere attribuito dall’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001 allo Stato membro interessato è circoscritto alle eccezioni specifiche elencate nei paragrafi da 1 a 3 dello stesso articolo, riconoscendosi in proposito a tale Stato membro soltanto un potere di partecipazione alla decisione dell’istituzione. Il previo accordo dello Stato membro interessato cui fa riferimento detto articolo 4, paragrafo 5, si risolve così non in un diritto di veto discrezionale, ma in una forma di parere conforme circa l’assenza di motivi di eccezione ai sensi dei paragrafi da 1 a 3 del medesimo articolo (sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione, C-64/05 P, EU:C:2007:802, punto 76). Il processo decisionale in tal modo istituito da detto articolo 4, paragrafo 5, necessita quindi che l’istituzione e lo Stato membro interessati si attengano alle eccezioni specifiche previste da detti paragrafi da 1 a 3 (sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione, C-64/05 P, EU:C:2007:802, punto 83).
Ne consegue che l’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001 autorizza lo Stato membro interessato ad opporsi alla divulgazione di documenti da esso provenienti soltanto sulla base delle eccezioni specifiche previste dai paragrafi da 1 a 3 di tale articolo e motivando debitamente la propria posizione in proposito (sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione, C-64/05 P, EU:C:2007:802, punto 99).
Nella specie, si deve rilevare che, come osservato dalla Commissione, sebbene l’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001 abbia trovato applicazione nel caso di specie, dalla decisione impugnata risulta che il diniego di accesso al documento controverso si fonda sull’eccezione contemplata all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, vale a dire sulla tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica, anche per quanto concerne la proprietà intellettuale, fatta valere dalle autorità tedesche.
In secondo luogo, è stato altresì dichiarato che, prima di negare l’accesso a un documento proveniente da uno Stato membro, l’istituzione interessata deve esaminare se quest’ultimo abbia fondato la propria opposizione sulle eccezioni specifiche di cui all’articolo 4, paragrafi da 1 a 3, del regolamento n. 1049/2001 e se abbia debitamente motivato la propria posizione in proposito. Pertanto, nel contesto del processo di adozione di una decisione di diniego di accesso, la Commissione deve accertarsi
dell’esistenza di una corrispondente motivazione e darne atto nella decisione da essa adottata all’esito del procedimento (sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione, C-64/05 P, EU:C:2007:802, punto 99). 
Per contro, secondo la giurisprudenza elaborata nell’ambito dell’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001, l’istituzione cui sia stata presentata domanda di accesso a un documento non deve compiere una valutazione esaustiva della decisione di opposizione dello Stato membro interessato, svolgendo un controllo che si spingerebbe oltre l’accertamento della mera esistenza di una motivazione inerente alle eccezioni di cui all’articolo 4, paragrafi da 1 a 3, del medesimo regolamento (sentenza del 21 giugno 2012, IFAW Internationaler Tierschutz-Fonds/Commissione, C-135/11 P, EU:C:2012:376, punto 63; ordinanza del 27 marzo 2014, Ecologistas en Acción/Commissione, T-603/11, non pubblicata, EU:T:2014:182, punto 44, e sentenza del 25 settembre 2014, Spirlea/Commissione, T-669/11, EU:T:2014:814, punto 54). L’istituzione adita deve tuttavia verificare se le spiegazioni fornite dallo Stato membro appaiano prima facie fondate (sentenza del 5 aprile 2017, Francia/Commissione, T-344/15, EU:T:2017:250, punto 54).
Orbene, la Commissione, nella decisione di opposizione della Repubblica federale di Germania alla divulgazione del documento controverso, ha verificato l’esistenza di una motivazione facente riferimento all’eccezione relativa alla protezione degli interessi commerciali, prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, nonché il carattere prima facie fondato della motivazione (v. supra punti da 7 a 11). Inoltre, dev’essere respinto l’argomentazione delle ricorrenti secondo cui la Commissione, per opporsi alla divulgazione di informazioni ambientali, non avrebbe potuto basarsi sull’eccezione prevista dalle disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001, in quanto tale regolamento dovrebbe essere interpretato conformemente al regolamento n. 1367/2006 e alla convenzione di Aarhus.
 Infatti, è sufficiente rilevare che, alla luce di quanto già affermato al punto 42 supra, l’argomento sollevato non può essere accolto, poiché l’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001 non costituisce il motivo per cui la Commissione ha negato l’accesso a tale documento. Il primo motivo dev’essere quindi respinto.

Sul secondo motivo, relativo all’esistenza di un interesse pubblico prevalente che giustifica la divulgazione di informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente. Sulla portata del diritto di accesso risultante dall’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006.
L’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 impone la divulgazione di un documento qualora le informazioni richieste riguardino emissioni nell’ambiente, anche in caso di rischio di pregiudizio per gli interessi tutelati dall’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001.
Tale affermazione non può essere rimessa in discussione con il richiamo a un’interpretazione coerente, armoniosa o conforme alle disposizioni degli articoli 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dell’articolo 39, paragrafi 2 e 3, dell’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS), del 15 aprile 1994 (GU 1994, L 336, pag. 214), che
costituisce l’allegato 1 C dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) (GU 1994, L 336, pag. 3), della direttiva 91/414 o del regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414 (GU 2009, L 309, pag. 1), in particolare del suo articolo 63 (v., in tal senso, sentenza di primo grado, punti da 27 a 46; v. anche, per analogia, sentenza del 23 novembre 2016, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C-442/14, EU:C:2016:890, punti da 96 a 102).
Sulla nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente».
 Le ricorrenti, sostenute dal Regno di Svezia, sostengono che la Commissione ha violato la presunzione dettata dall’articolo 6, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, dato che le informazioni richieste costituirebbero informazioni ambientali riguardanti emissioni nell’ambiente. Tali informazioni farebbero riferimento a tutte le sostanze rilasciate nell’ambiente laddove la sostanza «glifosato», che è stata autorizzata, venga utilizzata e applicata in pesticidi. Inoltre, le informazioni contenute nel progetto di relazione consentirebbero al pubblico di verificare se i test effettuati forniscano un quadro generale delle emissioni e degli effetti della sostanza che è stata autorizzata sulla base di tali test, vale a dire la sostanza attiva «glifosato».
La Commissione, sostenuta dalla CropLife America, dalla NAM, dall’ACC, dalla CLI, dal Cefic, dall’ECPA e dalla Repubblica federale di Germania, ritiene che la nozione di «emissione» debba essere interpretata restrittivamente e che, a termini della guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pubblicata nel 2000 dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (CEE-ONU), essa consista in una diffusione diretta o indiretta di sostanze da impianti. La Commissione afferma che le informazioni richieste non si riferiscono a emissioni nell’ambiente, poiché le informazioni contenute nel documento controverso riguarderebbero dettagliatamente i metodi di produzione del glifosato, forniti dai diversi richiedenti l’iscrizione e tutelati da diritti di proprietà intellettuale, e le categorie di informazioni che interessano le ricorrenti non potrebbero essere distinte e isolate dalle informazioni
sui metodi di produzione della sostanza attiva, costituenti l’oggetto stesso del documento contestato. Le informazioni controverse sarebbero inoltre troppo «lontane dal mercato» per poter costituire informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente e non sarebbero pertinenti dal punto di vista ambientale essendo state divulgate tutte le impurità considerate rilevanti sotto il profilo tossicologico, ecotossicologico o ambientale.
In primo luogo, l’argomento della Commissione secondo cui la disposizione relativa alle emissioni nell’ambiente dovrebbe essere interpretata restrittivamente non può che essere respinto. Infatti, è sufficiente rilevare che la Corte ha dichiarato al riguardo che il Tribunale non era incorso in alcun errore di diritto laddove, ai punti 49 e 53 della sentenza di primo grado, non aveva accolto
un’interpretazione restrittiva dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 e della nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente» (sentenza sull’impugnazione, punto 55).
 In secondo luogo, per quanto concerne il rinvio della Commissione alla guida all’applicazione citata al punto 51 supra per sostenere che la nozione di «emissione» farebbe riferimento alle emissioni provenienti da impianti, è sufficiente rilevare che la Corte ha dichiarato che il Tribunale non aveva commesso alcun errore di diritto, ai punti da 54 a 56 della sentenza di primo grado, laddove aveva potuto considerare che la nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 non era limitata alle informazioni riguardanti le emissioni provenienti da determinati impianti industriali (sentenza sull’impugnazione, punto 70).
In terzo luogo, va sottolineato che la Corte ha affermato che, sebbene la nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 non includesse le informazioni relative a emissioni meramente ipotetiche, tale nozione non può tuttavia limitarsi alle sole informazioni attinenti alle emissioni effettivamente liberate nell’ambiente durante l’applicazione del prodotto fitosanitario o della sostanza attiva di cui trattasi sulle piante o sul suolo, le quali dipendono in particolare dalle quantità di prodotto utilizzate di fatto dagli agricoltori nonché dalla composizione esatta del prodotto finale commercializzato (sentenza sull’impugnazione, punto 73). 
Pertanto, la Corte ha rilevato che rientravano in detta nozione le informazioni sulle emissioni prevedibili del prodotto fitosanitario o della sostanza attiva in questione
nell’ambiente, in condizioni normali o realistiche di utilizzo di tale prodotto o di tale sostanza, analoghe a quelle per le quali era stata concessa l’autorizzazione all’immissione in commercio di detto prodotto o di detta sostanza attiva e a quelle prevalenti nella zona di prevista utilizzazione di tale prodotto o di tale sostanza attiva (sentenza sull’impugnazione, punto 74). Essa ha inoltre precisato che, sebbene l’immissione in commercio di un prodotto o di una sostanza attiva non fosse sufficiente, in generale, per considerare che tale prodotto o tale sostanza fosse stata necessariamente rilasciata nell’ambiente e che le informazioni corrispondenti riguardassero «emissioni nell’ambiente», la situazione era diversa laddove si trattasse di un prodotto, come un prodotto fitosanitario, e di sostanze attive in esso contenute destinati, nell’ambito di un utilizzo normale, ad essere liberati nell’ambiente a motivo della loro stessa funzione. In tal caso, le emissioni prevedibili, in condizioni normali o realistiche di utilizzo, del prodotto di cui trattasi, o delle sostanze attive in esso contenute, nell’ambiente non sono ipotetiche e rientrano nella nozione di «emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 (sentenza sull’impugnazione, punto 75).
In quarto luogo, occorre ricordare che la Corte, nella sentenza sull’impugnazione, ha rilevato che il Tribunale era incorso in un errore di diritto nel ritenere sufficiente che un’informazione, per rientrare nella nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006, riguardasse, in modo sufficientemente diretto, emissioni nell’ambiente.
Da un lato, la Corte ha rilevato che dal tenore dell’articolo 6, paragrafo 1, primo periodo, del regolamento n. 1367/2006 emerge che tale disposizione contempla le informazioni «riguardanti emissioni nell’ambiente», vale a dire quelle concernenti o che erano relative a siffatte emissioni, e non le informazioni che presentavano un nesso qualunque, diretto o indiretto, con le emissioni nell’ambiente. Tale interpretazione risulta confermata dall’articolo 4, paragrafo 4, lettera d), della convenzione di Aarhus, che fa riferimento alle «informazioni sulle emissioni» (sentenza sull’impugnazione, punto 78). Dall’altro lato, la Corte ha dichiarato che tale nozione dev’essere intesa nel senso di comprendere, in particolare, i dati che consentono al pubblico di sapere quanto fosse stato effettivamente rilasciato nell’ambiente oppure quanto sarebbe stato prevedibilmente rilasciato in condizioni normali o reali di utilizzo del prodotto o della sostanza in questione, analoghe a quelle per le quali era stata concessa l’autorizzazione all’immissione in commercio di tale prodotto o di tale sostanza attiva e a quelle prevalenti nella zona di prevista utilizzazione di detto prodotto o di detta sostanza. Pertanto, la stessa nozione dev’essere interpretata nel senso che comprende, in particolare, le indicazioni relative alla natura, alla composizione, alla quantità, alla data e al luogo delle emissioni effettive o prevedibili, in siffatte condizioni, di detto prodotto o di detta sostanza (sentenza sull’impugnazione, punto 79).
Nella nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente» occorre altresì includere le informazioni che consentono al pubblico di controllare la correttezza della valutazione delle emissioni effettive o prevedibili, sulla base della quale l’autorità competente ha autorizzato il prodotto o la sostanza in questione nonché i dati relativi agli effetti di tali emissioni sull’ambiente. Infatti, dal considerando 2 del regolamento n. 1367/2006 risulta sostanzialmente che l’accesso alle informazioni ambientali garantito da tale regolamento mira, in particolare, a favorire una partecipazione pubblica più efficace al processo decisionale, in modo da accrescere la responsabilità degli organi competenti nell’ambito del processo decisionale, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica e di ottenerne il sostegno nei confronti delle decisioni adottate. Orbene, per garantire che le decisioni adottate dalle autorità competenti in materia ambientale siano fondate e per poter partecipare efficacemente al processo decisionale in materia ambientale, il pubblico deve aver accesso alle informazioni che gli consentono di verificare se le emissioni siano state correttamente valutate e deve poter ragionevolmente comprendere il modo in cui l’ambiente rischia di subire gli effetti di dette emissioni (sentenza sull’impugnazione, punto 80).
Per contro, sebbene non occorra adottare un’interpretazione restrittiva della nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente», tale nozione non può tuttavia includere ogni informazione che presenti un qualunque nesso, ancorché diretto, con le emissioni nell’ambiente.
Infatti, se detta nozione fosse interpretata nel senso di comprendere informazioni del genere, essa priverebbe in gran parte di contenuto la nozione di «informazioni ambientali» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), del regolamento n. 1367/2006. Pertanto, un’interpretazione siffatta priverebbe di ogni effetto utile la possibilità per le istituzioni, prevista all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, di negare la divulgazione di informazioni ambientali, per il motivo, in particolare, che una divulgazione del genere pregiudicherebbe la tutela degli interessi commerciali di una determinata persona fisica o giuridica e comprometterebbe l’equilibrio che il legislatore dell’Unione ha inteso garantire tra l’obiettivo di trasparenza e la tutela di detti interessi. Essa arrecherebbe altresì un pregiudizio sproporzionato alla tutela del segreto professionale garantita dall’articolo 339 TFUE (sentenza sull’impugnazione, punto 81).
Applicazione della nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente» al documento controverso. In primo luogo, va sottolineato che le ricorrenti non chiedono l’accesso alle informazioni sui rapporti contrattuali tra differenti operatori che hanno notificato il glifosato o sul metodo di produzione di quest’ultimo, che corrispondono ai punti «C.1.1 Informazione dettagliata sui processi produttivi della sostanza attiva (allegato II A 1.8)» (pagg. da 1 a 11) e «C.2 Sintesi e valutazione delle informazioni relative alla presentazione di fascicoli collettivi» (pagg. 88 e 89) del primo sub-documento comunicato dalla Commissione al Tribunale, e al punto «C.1.1 Informazione dettagliata sui processi produttivi della sostanza attiva (allegato II A 1.8)» (pagg. da 1 a 3 inclusa) del terzo sub-documento comunicato dalla Commissione.
In secondo luogo, le ricorrenti, all’udienza del 26 febbraio 2013, hanno precisato taluni punti della loro richiesta di accesso. Esse intendono disporre di informazioni concernenti l’«identità» e la quantità delle impurità presenti nel glifosato nonché il profilo analitico dei lotti testati, segnatamente la loro composizione, l’«identità» e la quantità delle sostanze chimiche aggiunte durante i test, la durata dei test e gli effetti reali sulla sostanza attiva.
Pertanto, solo qualora le parti del documento controverso distinte da quelle menzionate supra al punto 59 contenessero informazioni come quelle precisate supra al punto 60 o informazioni relative alla composizione del prodotto fitosanitario contenente glifosato, e sempreché possa ritenersi che tali informazioni riguardino emissioni nell’ambiente, si dovrebbe dichiarare che la Commissione, negando la loro divulgazione, è incorsa in un errore di valutazione.
In terzo luogo, nell’ambito del procedimento di primo grado, le ricorrenti hanno fornito precisazioni sul modo in cui le informazioni attinenti all’«identità» e alla quantità delle impurità presenti nel glifosato, al profilo analitico dei lotti testati e alla composizione del prodotto contenente tale sostanza potevano condurre a determinare il livello di emissione di dette impurità nell’ambiente.
Nel ricorso, le ricorrenti sostengono che i residui della sostanza attiva nell’ambiente e il loro effetto sulla salute umana sono direttamente connessi alla purezza della sostanza, segnatamente all’«identità» e alla quantità delle impurità presenti nel glifosato, e non unicamente al«l’identità» e alla quantità delle impurità considerate pertinenti dalla Commissione. A loro parere, sarebbe altresì importante conoscere il profilo analitico dei lotti utilizzati per i controlli al fine di poterli interpretare, nonché gli studi su cui è stata basata l’iscrizione del glifosato nell’allegato I alla direttiva 91/414. Sarebbe questo il motivo per cui dovrebbe essere divulgata la composizione esatta dei prodotti sviluppati e controllati, il che consentirebbe di determinare gli elementi tossici che vengono emessi nell’ambiente e che rischiano di restarvi a lungo.
Nella loro risposta ai quesiti scritti del Tribunale nel procedimento di primo grado, le ricorrenti hanno parimenti precisato sotto quale profilo le informazioni che richiedevano facessero riferimento alla nozione di «emissione nell’ambiente». Pertanto, le impurità contenute nel glifosato sarebbero liberate nell’ambiente contemporaneamente a quest’ultimo. Inoltre, tali impurità, in funzione della loro quantità, avrebbero potuto incidere sui risultati dei test richiesti per l’esame degli effetti nocivi del glifosato ai fini della sua iscrizione nell’allegato I alla direttiva 91/414. Per determinare se i test effettuati in ordine a tale iscrizione siano rappresentativi delle emissioni nell’ambiente che avvengono durante l’utilizzo dei prodotti fitosanitari contenenti glifosato, sarebbe quindi necessario disporre di informazioni sul profilo analitico dei lotti. In allegato alla loro risposta, le ricorrenti hanno fornito un documento che illustra, in particolare, un processo di produzione del glifosato e gli elementi che si aggiungono per produrre tale sostanza attiva e che insiste sul fatto che le impurità presenti nella sostanza attiva prodotta saranno emesse nell’ambiente. Inoltre, lo stesso documento sottolinea l’importanza di ottenere le informazioni relative al profilo analitico dei lotti testati per verificare se tale profilo corrisponda a quello dei prodotti immessi in commercio, dato che una produzione su piccola scala può portare a un profilo analitico del glifosato diverso da quello prodotto su vasta scala per la sua commercializzazione. Ottenendo tali informazioni, sarebbe possibile controllare le eventuali differenze tra i profili analitici dei lotti testati ai fini dell’iscrizione del glifosato nell’allegato I alla direttiva 91/414 e quelli dei prodotti immessi in commercio, e determinare se i test effettuati siano rilevanti per le emissioni effettive di glifosato nell’ambiente. Infine, detto documento sottolinea che le informazioni richieste consentirebbero di sapere se il livello del metabolita in cui si trasforma il glifosato, emesso nell’ambiente, abbia carattere permanente e inquini le acque sotterranee.
La Commissione, sebbene concordi sul fatto che ogni sostanza attiva viene necessariamente rilasciata nell’ambiente in un momento del suo ciclo di vita, rileva che il documento controverso non contiene informazioni che possano essere considerate attinenti alle emissioni nell’ambiente, bensì informazioni riguardanti i metodi di produzione utilizzati dai differenti operatori che hanno notificato il glifosato ai fini della sua iscrizione nell’allegato I alla direttiva 91/414. Essa si oppone alla divulgazione delle informazioni concernenti le impurità e il profilo analitico dei lotti, in quanto ciò consentirebbe di ricostituire il metodo di produzione della sostanza attiva e i relativi segreti commerciali, non essendo possibile distinguere e isolare queste diverse categorie di informazioni. Infine, la Commissione sostiene che tutte le informazioni pertinenti dal punto di visto tossicologico relative agli effetti della sostanza attiva sulla salute sono state oggetto di un’analisi dettagliata e sono state divulgate mediante la sua decisione del 6 maggio 2011, rilevando parimenti che le ricorrenti non indicano i motivi per i quali i documenti già divulgati non sarebbero sufficienti per valutare la fondatezza del procedimento di iscrizione del glifosato nell’allegato I alla direttiva 91/414.
In quarto luogo, occorre ricordare che il Tribunale, nell’ambito delle misure istruttorie disposte nel procedimento di primo grado, ha preso visione del documento controverso, che si articola, come ricordato dalla Commissione nella propria lettera allegata al documento medesimo, in sub-documenti.
 Il primo sub-documento contiene, in particolare, un punto «C.1.2 Specifica dettagliata della sostanza attiva (allegato II A da 1.9 a 1.11)», che indica, da un lato, le notifiche presentate allo Stato membro relatore dagli operatori che intendono iscrivere il glifosato nell’allegato I alla direttiva 91/414 e che individuano le varie impurità contenute nel glifosato prodotto nonché il quantitativo preciso o massimo di ciascuna di esse [punto «C.1.2.1 Identità degli isomeri, impurità e additivi (allegato II A 1.10)», pagg. da 11 a 61] e, d’altro lato, il profilo analitico dei lotti testati, facendo apparire sotto forma di tabelle i quantitativi di tutte le impurità presenti nei differenti lotti nonché i quantitativi minimi, medi e massimi di ciascuna impurità, e anche i metodi di analisi e di convalida dei dati sono presentati dalla maggioranza degli operatori di cui trattasi [sezione «C.1.2.2 Profilo analitico dei lotti (allegato II A 1.11)», pagg. da 61 a 84]. Il primo sub-documento contiene parimenti un punto «C.1.3 Specifica dettagliata dei preparati (allegato II A 1.4)», che descrive il contenuto del prodotto fitosanitario, il quale include il glifosato prodotto da ogni operatore che ha proceduto alla notifica di tale sostanza attiva (pagg. da 84 a 88). Il punto unico del secondo sub-documento (v. citato punto 15) consiste in una tabella ove sono individuati i differenti operatori che hanno notificato il glifosato, la formula strutturale di ciascuna impurità presente nella sostanza attiva di ognuno di detti operatori e la quantità precisa o massima di tutte queste impurità (pagg. da 1 a 6). Il terzo sub-documento comprende, segnatamente, due punti, rispettivamente intitolati «C.1.2 Specifica dettagliata della purezza della sostanza attiva» e «C.1.2.1 Identità degli isomeri, impurità e additivi (allegato II A 1.10)» (pagg. da 4 a 13). Il punto C.1.2 presenta le diverse impurità contenute nel glifosato trimesium nonché il quantitativo preciso o massimo di ogni impurità (pag. 4), e il profilo analitico dei lotti testati, facendo apparire sotto forma di tabelle le quantità di tutte le impurità presenti nei differenti lotti (pag. 7). Il punto C.1.2.1 è formato da una tabella simile a quella contenuta
nel secondo sub-documento e contenente informazioni della medesima natura (pagg. da 8 a 13).
È alla luce di tali precisazioni che occorre determinare se il documento controverso contenga informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente.
Va anzitutto rilevato che, da un lato, è pacifico inter partes che una sostanza attiva quale il glifosato è necessariamente rilasciata nell’ambiente in un momento del suo ciclo di vita, e che, dall’altro, il documento controverso contiene informazioni riguardanti l’ambiente. Per contro, le parti sono in disaccordo sulla questione se tali informazioni rientrino nella nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente», quale definita dalla Corte nella sentenza sull’impugnazione.
Per pronunciarsi su tale questione, si deve far riferimento alle pertinenti disposizioni del regolamento n. 1107/2009, diretto a stabilire norme riguardanti l’autorizzazione, l’immissione sul mercato, l’impiego e il controllo all’interno dell’Unione dei prodotti fitosanitari, così come sono presentati nella loro forma commerciale (articolo 1 del regolamento n. 1107/2009) e si applica ai prodotti, nella forma in cui sono forniti all’utilizzatore, contenenti o costituiti da sostanze attive, antidoti agronomici o sinergizzanti (articolo 2 del regolamento n. 1107/2009).
Dal regolamento n. 1107/2009 risulta che le sostanze dovrebbero essere incluse nei prodotti fitosanitari soltanto ove sia stato dimostrato che presentino un chiaro beneficio per la produzione vegetale e che non sia previsto alcun loro effetto nocivo sulla salute umana o degli animali o alcun impatto inaccettabile sull’ambiente (considerando 10). Per garantire la prevedibilità, l’efficienza e la coerenza, è opportuno stabilire una procedura dettagliata per valutare se una sostanza attiva possa essere approvata (considerando 12). Oltre alle sostanze attive, i prodotti fitosanitari possono contenere antidoti agronomici (anche chiamati fitoprotettori) o sinergizzanti (considerando 21 e 22).
I prodotti fitosanitari contenenti le sostanze attive possono essere formulati in molti modi e adoperati su vari vegetali e prodotti vegetali, in condizioni agricole, fitosanitarie e ambientali (comprese quelle climatiche) diverse. Le autorizzazioni relative ai prodotti fitosanitari, dunque, dovrebbero essere rilasciate dagli Stati membri (considerando 23). Le disposizioni che disciplinano l’autorizzazione devono assicurare un livello elevato di protezione. In particolare, nel rilasciare le autorizzazioni di prodotti fitosanitari, occorre dare priorità all’obiettivo di proteggere la salute umana e animale e l’ambiente rispetto all’obiettivo di migliorare la produzione vegetale. Pertanto, prima d’immettere sul mercato i prodotti fitosanitari, dev’essere dimostrato che essi siano chiaramente utili per la produzione vegetale, non hanno alcun effetto nocivo sulla salute umana o degli animali, inclusi i gruppi vulnerabili, o alcun effetto inaccettabile sull’ambiente (considerando 24).
Le sostanze attive contenute in un prodotto fitosanitario possono essere prodotte mediante diversi processi di fabbricazione, il che dà luogo a differenze nelle specifiche. Tali differenze possono avere implicazioni in termini di sicurezza. Per ragioni di efficienza, è opportuno prevedere una procedura armonizzata a livello dell’Unione per la valutazione di tali differenze (considerando 27).
Infine, il considerando 29 del regolamento n. 1107/2009 afferma che il principio del riconoscimento reciproco è uno degli strumenti atti a garantire la libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione. Al fine di evitare qualsiasi duplicazione di lavoro, ridurre il carico amministrativo per l’industria e per gli Stati membri e offrire una disponibilità di prodotti fitosanitari più armonizzata, le autorizzazioni rilasciate da uno Stato membro dovrebbero essere accettate dagli altri Stati membri aventi condizioni agricole, fitosanitarie e ambientali (comprese quelle climatiche) comparabili. Per facilitare il riconoscimento reciproco occorre dunque dividere l’Unione in zone caratterizzate da tali condizioni comparabili. Tuttavia, le condizioni ambientali o agricole specifiche del territorio di uno o più Stati membri potrebbero richiedere che, al momento dell’attuazione, gli Stati membri riconoscano o modifichino un’autorizzazione rilasciata da un altro Stato membro, o rifiutino di autorizzare il prodotto fitosanitario nel loro territorio, se le condizioni ambientali o agricole specifiche lo giustificano o se il livello elevato di protezione, sia della salute umana e animale sia dell’ambiente, richiesto da detto regolamento non può essere raggiunto.
Per l’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari nell’Unione, il regolamento n. 1107/2009 ha previsto un sistema nel cui ambito le procedure di approvazione della sostanza attiva (articoli da 7 a 13 del regolamento n. 1107/2009), quale il glifosato, sono separate dalle procedure di autorizzazione del prodotto fitosanitario formulato, vale a dire il prodotto finale comprendente la sostanza attiva e altri elementi, che è poi applicato dagli operatori (articoli da 33 a 39 del regolamento n. 1107/2009).
La procedura di approvazione delle sostanze attive si svolge a livello dell’Unione e si conclude con l’adozione di un atto della Commissione che prevede l’approvazione o meno della sostanza. È pacifico tra le parti che, per approvare una sostanza attiva, la valutazione riguardi «uno o più impieghi rappresentativi di almeno un prodotto fitosanitario contenente tale sostanza attiva» (articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1107/2009), consistente principalmente in uno o più impieghi specifici proposti del prodotto fitosanitario su uno o più vegetali particolari, e comprende le condizioni di utilizzo pertinenti proposte per tale impiego rappresentativo.
Poiché un prodotto fitosanitario non è immesso sul mercato o impiegato a meno che sia stato autorizzato nello Stato membro interessato conformemente al regolamento n. 1107/2009 (articolo 28 del regolamento n. 1107/2009), secondo le condizioni di autorizzazione previste in particolare al suo articolo 29, il richiedente che desideri immettere sul mercato un prodotto fitosanitario presenta una domanda di autorizzazione o di modifica di un’autorizzazione, personalmente o tramite un rappresentante, a ciascuno degli Stati membri in cui intende immettere sul mercato il prodotto (articolo 33 del regolamento n. 1107/2009).
Nell’ambito della procedura di autorizzazione, lo Stato membro che esamina la domanda esegue una valutazione indipendente, obiettiva e trasparente, alla luce delle conoscenze scientifiche e tecniche attuali, utilizzando i documenti d’orientamento disponibili al momento della domanda, dando a tutti gli Stati membri della stessa zona la possibilità di presentare osservazioni, di cui si tiene conto nella valutazione. Lo Stato membro medesimo applica i principi uniformi per la valutazione e l’autorizzazione dei prodotti fitosanitari di cui all’articolo 29, paragrafo 6, del regolamento n. 1107/2009, al fine di stabilire, per quanto possibile, se il prodotto fitosanitario, usato conformemente all’articolo 55 e in realistiche condizioni d’impiego, rispetti i requisiti previsti dall’articolo 29 nella
stessa zona. Lo Stato membro che esamina la domanda mette la sua valutazione a disposizione degli altri Stati membri della stessa zona (articolo 36, paragrafo 1, del regolamento n. 1107/2009).
Infine, qualora per una sostanza attiva, un antidoto agronomico o un sinergizzante occorra stabilire se una fonte diversa o, in caso di una medesima fonte, una modifica del processo di fabbricazione o del sito di fabbricazione sia conforme all’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1107/2009, la relativa valutazione viene eseguita dallo Stato membro che ha svolto la funzione di relatore per la sostanza attiva, l’antidoto agronomico o il sinergizzante, conformemente all’articolo 7, paragrafo 1, del medesimo regolamento, a meno che lo Stato membro che esamina la domanda conformemente all’articolo 35 di detto regolamento non acconsenta a valutare l’equivalenza. Il richiedente presenta allo Stato membro che valuta l’equivalenza tutti i dati necessari (articolo 38 del regolamento n. 1107/2009).
Dalle disposizioni richiamate supra ai punti da 73 a 81 emerge che una sostanza attiva come il glifosato dev’essere approvata a livello dell’Unione prima di rientrare nella composizione di prodotti fitosanitari, i quali, a loro volta, devono essere necessariamente soggetti all’autorizzazione di uno Stato membro per garantire che la composizione di detti prodotti soddisfi i requisiti per l’autorizzazione previsti all’articolo 29 del regolamento n. 1107/2009. Inoltre, come dedotto, in sostanza, dalla Repubblica federale di Germania, la valutazione e l’approvazione della sostanza attiva «glifosato» a livello dell’Unione non presentano ancora, in linea di principio, alcun nesso con l’effettivo utilizzo successivo che verrà fatto di tale sostanza. Infatti, l’approvazione della sostanza attiva «glifosato» non include in alcun modo l’autorizzazione dell’uso di tale sostanza, in modo separato. Tale sostanza sarà utilizzata solo quando essa rientrerà nella composizione di un prodotto fitosanitario autorizzato all’immissione in commercio da uno Stato membro. Pertanto, se è pur vero che una sostanza attiva quale il glifosato è necessariamente rilasciata nell’ambiente in un momento del suo ciclo di vita, ciò si verifica unicamente attraverso un prodotto fitosanitario soggetto alla procedura di autorizzazione.
Dalle disposizioni richiamate supra ai punti da 73 a 81 discende altresì che il sistema istituito dal regolamento n. 1107/2009 implica che il prodotto fitosanitario per il quale è richiesta l’autorizzazione a uno Stato membro può differire sotto vari aspetti dal prodotto presentato e valutato a livello dell’Unione ai fini dell’approvazione della sostanza attiva. Infatti, come giustamente rilevato dalla
Commissione, da un lato, l’utilizzo e i requisiti di applicazione del prodotto fitosanitario cui fa riferimento l’autorizzazione in uno Stato membro possono essere molto diversi da quelli che sono stati oggetto della valutazione teorica a livello dell’Unione.
Dall’altro lato, la sostanza attiva e il prodotto fitosanitario specifico che la contiene, per i quali viene richiesta l’autorizzazione a livello nazionale, possono essere molto differenti – per determinati aspetti tecnici – dalla sostanza attiva e dall’impiego rappresentativo del prodotto fitosanitario esaminato a livello dell’Unione in fase di procedura di approvazione. Ciò è dovuto al fatto che il prodotto
fitosanitario per il quale si richiede l’autorizzazione può essere fabbricato – come d’altronde spesso avviene – da un’impresa differente da quella che ha chiesto l’approvazione della sostanza attiva a livello dell’Unione.
Va inoltre sottolineato che, quand’anche la sostanza attiva e il prodotto fitosanitario specifico autorizzati siano fabbricati dalla stessa impresa che ha presentato la domanda di approvazione della sostanza attiva, il metodo di fabbricazione di detta sostanza e, pertanto, le impurità presenti nel prodotto fitosanitario di cui è richiesta l’autorizzazione e che sarà poi rilasciato nell’ambiente, possono differire da quelle analizzate a livello dell’Unione. Infatti, come indicato, in particolare, ai considerando 23 e 27 del regolamento n. 1107/2009, non soltanto un prodotto fitosanitario può essere formulato in molti modi e adoperato su vari vegetali e prodotti vegetali, in condizioni agricole, fitosanitarie e ambientali (comprese quelle climatiche) diverse (v. punto 75 supra), ma, inoltre, una sostanza attiva contenuta in un prodotto fitosanitario può essere prodotta attraverso diversi processi di fabbricazione, il che dà luogo a differenze nelle specifiche (v. punto 74 supra).
Questo è il motivo, in particolare, per cui, conformemente all’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1107/2009, lo Stato membro è tenuto, nel corso della procedura di autorizzazione, ad esaminare se la sostanza attiva sia prodotta da una fonte diversa o dalla medesima fonte con una modifica nel processo di fabbricazione o nel sito di fabbricazione. In tal caso, detto Stato membro deve esaminare se la specifica della sostanza attiva presente nel prodotto fitosanitario per il quale è richiesta l’autorizzazione (articolo 38 del regolamento n. 1107/2009) sia tuttavia equivalente a quella valutata a livello dell’Unione e considerata conforme ai criteri di approvazione enunciati all’articolo 4 del regolamento n. 1107/2009.
Va inoltre aggiunto che l’articolo 29, paragrafo 3, del regolamento n. 1107/2009 dispone che il rispetto del requisito di equivalenza di cui all’articolo 29, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1107/2009 «è stabilito mediante test e analisi ufficiali, o ufficialmente riconosciuti, effettuati in condizioni agricole, fitosanitarie e ambientali pertinenti, rispetto all’impiego del prodotto fitosanitario in questione, e rappresentative delle condizioni che prevalgono nella zona in cui il prodotto deve essere utilizzato».
Ciò premesso, al pari di quanto sostenuto dalla Commissione e dalla Repubblica federale di Germania, va osservato che è solo in fase di procedura di autorizzazione nazionale di immissione in commercio di un prodotto fitosanitario specifico che lo Stato membro valuta le eventuali emissioni nell’ambiente e che è possibile ottenere informazioni concrete sulla natura, la composizione, la quantità, la data e il luogo delle emissioni effettive e prevedibili in tali circostanze della sostanza attiva e del prodotto fitosanitario specifico che la contiene, ai sensi del punto 79 della sentenza sull’impugnazione (v. punto 56 supra).
Nel caso di specie, ciò significa che il progetto di relazione, redatto nell’ambito della procedura di approvazione a livello dell’Unione, verte su uno o più impieghi rappresentativi di prodotti fitosanitari contenenti glifosato, proposti dai richiedenti l’approvazione di tale sostanza, e sulla composizione specifica dei prodotti fitosanitari risultanti dal processo di fabbricazione di detti richiedenti, al
momento di presentazione della domanda di approvazione.
Poiché l’utilizzo, le condizioni di applicazione e la composizione di un prodotto fitosanitario autorizzato da uno Stato membro nel proprio territorio possono essere molto diversi da quelli dei prodotti valutati a livello dell’Unione, in fase di approvazione della sostanza attiva, occorre considerare che le informazioni contenute nel documento controverso non riguardano le emissioni di cui è
prevedibile il rilascio nell’ambiente e sono tutt’al più riferibili unicamente alle emissioni nell’ambiente.
Tali informazioni, pertanto, sono escluse dalla nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente», conformemente al punto 78 della sentenza sull’impugnazione.
Alla luce dei suesposti rilievi, si deve quindi concludere che la Commissione non è incorsa in un errore di valutazione nel considerare che il documento controverso non conteneva informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente; il secondo motivo dev’essere, pertanto, respinto.
Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall’argomento reiterato dalle ricorrenti in udienza, secondo cui, in sostanza, in fase di autorizzazione di un prodotto fitosanitario, sarebbe indispensabile ottenere l’accesso al documento controverso, in quanto gli Stati membri non rivaluterebbero la sostanza attiva approvata a livello dell’Unione. Va sottolineato, infatti, al pari della Commissione, del Cefic e dell’ECPA, che, durante la procedura di autorizzazione, è il prodotto fitosanitario nel suo complesso, con tutte le sue componenti, ad essere analizzato. Orbene, il prodotto è autorizzato solo se l’insieme dei test e delle analisi consente di concludere che le condizioni di autorizzazione di cui all’articolo 29 del regolamento n. 1107/2009 sono soddisfatte potendosi quindi
ritenere che detto prodotto non abbia alcun effetto nocivo sulla salute umana o degli animali o alcun impatto inaccettabile sull’ambiente.
In ogni caso, occorre necessariamente rilevare che l’argomento delle ricorrenti non è idoneo a rimettere in discussione la circostanza secondo cui, essenzialmente, poiché la sostanza attiva «glifosato» non è destinata, di per sé, ad essere rilasciata nell’ambiente, potendo esserlo solo dopo essere stata integrata in un prodotto fitosanitario sottoposto ad autorizzazione, le informazioni contenute nel documento controverso non possono rientrare nella nozione di «informazioni riguardanti emissioni nell’ambiente», quale definita dalla Corte nella sentenza sull’impugnazione. Pertanto, il secondo motivo dev’essere respinto.

Sul terzo motivo, relativo alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 e dell’articolo 4 della convenzione di Aarhus. 
 Le ricorrenti deducono, in sostanza, che l’eccezione al diritto di accesso avrebbe dovuto essere interpretata restrittivamente, conformemente all’articolo 4, paragrafo 4, lettera d), della convenzione di Aarhus. A loro parere, inoltre, gli interessi commerciali potevano prevalere solo qualora costituissero interessi tutelati dalla legge per difendere un legittimo interesse economico. Inoltre, tali interessi avrebbero avuto una portata limitata, atteso che l’articolo 13 della direttiva 91/414 stabilisce che altri richiedenti l’iscrizione della sostanza attiva potrebbero, trascorso un periodo di dieci anni, utilizzare la documentazione presentata ai fini dell’iscrizione. Infine, la Commissione non avrebbe fornito alcun elemento concreto per suffragare la conclusione secondo cui i diritti di proprietà intellettuale avrebbero dovuto prevalere sul diritto di accesso. A parere delle ricorrenti, una corretta ponderazione
basata sull’articolo 4, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus o su un’interpretazione conforme alla convenzione di Aarhus dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 avrebbe dovuto condurre alla divulgazione delle informazioni richieste.
La Commissione contesta l’argomentazione delle ricorrenti.
Va ricordato, in limine, che, dal momento che le eccezioni di cui all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001 derogano al principio del più ampio accesso possibile del pubblico ai documenti, esse devono essere interpretate ed applicate in senso restrittivo (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Svezia/MyTravel e Commissione, C-506/08 P, EU:C:2011:496, punto 75). Occorre dimostrare
che l’accesso in questione possa concretamente ed effettivamente arrecare pregiudizio all’interesse tutelato dall’eccezione e che il rischio di arrecare un pregiudizio a tale interesse è ragionevolmente prevedibile e non meramente ipotetico. Tale esame deve emergere dalla motivazione della decisione impugnata (v., in tal senso, sentenze del 13 aprile 2005, Verein für Konsumenteninformation/Commissione, T-2/03, EU:T:2005:125, punto 69, e del 22 maggio 2012, Sviluppo Globale/Commissione, T-6/10, non pubblicata, EU:T:2012:245, punto 64).
Occorre parimenti osservare che il regime delle eccezioni previsto all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001, e segnatamente, al paragrafo 2 dello stesso, è fondato su una ponderazione degli interessi contrapposti in una data situazione, ovvero, da un lato, gli interessi che sarebbero favoriti dalla divulgazione dei documenti in questione e, dall’altro, quelli che sarebbero minacciati da tale
divulgazione. La decisione su una domanda di accesso ai documenti dipende dallo stabilire quale debba essere l’interesse prevalente nel caso di specie (sentenze del 14 novembre 2013, LPN e Finlandia/Commissione, C-514/11 P e C-605/11 P, EU:C:2013:738, punto 42, e del 23 settembre 2015, ClientEarth e International Chemical Secretariat/ECHA, T-245/11, EU:T:2015:675, punto 168).
Va inoltre rilevato che, per giustificare il diniego di accesso a un documento, non basta, in linea di principio, che tale documento rientri in un’attività o in un interesse fra quelli menzionati all’articolo 4 del regolamento n. 1049/2001; l’istituzione interessata deve anche spiegare come l’accesso a tale documento potrebbe arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio all’interesse tutelato da un’eccezione prevista in tale articolo (sentenze del 28 giugno 2012, Commissione/Éditions Odile Jacob, C-404/10 P, EU:C:2012:393, punto 116; del 28 giugno 2012, Commissione/Agrofert Holding, C-477/10 P, EU:C:2012:394, punto 57, e del 27 febbraio 2014, Commissione/EnBW, C-365/12 P, EU:C:2014:112, punto 64).
Quanto alla nozione di interessi commerciali, emerge dalla giurisprudenza che non si può ritenere che tutte le informazioni relative ad una società e alle sue relazioni commerciali ricadano sotto la tutela che deve essere garantita agli interessi commerciali conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, salvo vanificare l’applicazione del principio generale che consiste nel conferire al pubblico il più ampio accesso possibile ai documenti detenuti dalle istituzioni (sentenze del 15 dicembre 2011, CDC Hydrogene Peroxide/Commissione, T-437/08, EU:T:2011:752, punto 44, e del 9 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, T-516/11, non pubblicata, EU:T:2014:759, punto 81).
Al fine di applicare l’eccezione prevista dall’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, è necessario dunque dimostrare che i documenti controversi contengano elementi idonei, per il fatto di essere divulgati, ad arrecare pregiudizio agli interessi commerciali di una persona giuridica. Ciò vale qualora, segnatamente, i documenti richiesti contengano informazioni commerciali sensibili relative, in particolare, alle strategie commerciali delle imprese di cui trattasi o ai loro rapporti commerciali, oppure qualora essi contengano dati propri dell’impresa che mostrano la sua competenza (sentenza del 9 settembre 2014, MasterCard e a./Commissione, T-516/11, non pubblicata, EU:T:2014:759, punti da 82 a 84).
Infine, occorre sottolineare che il caso di specie verte su una decisione di diniego della Commissione che non è in contrasto con i motivi di opposizione invocati dalla Repubblica federale di Germania, ma che è basata su tali motivi e che ha quindi comportato la mancata comunicazione del documento controverso.
 Quanto al controllo giurisdizionale della legittimità di una decisione di diniego, dal punto 94 della sentenza del 18 dicembre 2007, Svezia/Commissione (C-64/05 P, EU:C:2007:802), risulta che rientra nella competenza del giudice dell’Unione verificare, su domanda del richiedente che si è visto opporre un diniego di accesso da parte dell’istituzione interpellata, se tale rifiuto potesse validamente fondarsi sulle eccezioni enunciate nell’articolo 4, paragrafi da 1 a 3, del regolamento n. 1049/2001, e ciò indipendentemente dal fatto che il diniego sia la conseguenza della valutazione di queste ultime effettuata dall’istituzione stessa oppure di quella compiuta dallo Stato membro in questione. Ne consegue che, per effetto dell’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 5, del regolamento n. 1049/2001, il controllo del giudice dell’Unione non è limitato a un controllo prima facie. L’applicazione di questa disposizione non gli impedisce di procedere ad un controllo completo della decisione di diniego della Commissione, la quale deve rispettare, in particolare, l’obbligo di motivazione e basarsi sulla valutazione di merito, da parte dello Stato membro interessato, dell’applicabilità delle eccezioni di cui
all’articolo 4, paragrafi da 1 a 3, del regolamento n. 1049/2001.
È alla luce di tali elementi che dev’essere analizzata la tesi delle ricorrenti, che equivale, in sostanza, a chiedere al Tribunale, da un lato, di applicare l’articolo 4, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus o di interpretare la normativa dell’Unione conformemente a questa disposizione – secondo la quale i motivi di rigetto devono essere interpretati restrittivamente – e, dall’altro, di dichiarare che, nella ponderazione degli interessi in gioco, la Commissione ha attribuito eccessiva importanza agli interessi commerciali, senza aver dimostrato in modo concreto e preciso il rischio di pregiudizio a tali interessi.
In primo luogo, riguardo agli argomenti relativi all’articolo 4, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus, si deve anzitutto ricordare che il giudice dell’Unione ha ritenuto che l’obbligo di interpretare restrittivamente i motivi di diniego di accesso non possa essere inteso come fonte di un obbligo preciso (sentenze del 16 luglio 2015, ClientEarth/Commissione, C-612/13 P, EU:C:2015:486, punto 42, e del
13 settembre 2013, ClientEarth/Commissione, T-111/11, EU:T:2013:482, punti 92 e 94). È per tale ragione che, nel diritto dell’Unione, detta disposizione non può produrre effetti diretti nei confronti dei singoli (sentenza del 23 gennaio 2017, Justice & Environment/Commissione, T-727/15, non pubblicata, EU:T:2017:18, punto 75).
Inoltre, occorre sottolineare che, in forza di una giurisprudenza costante, la prevalenza degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato impone di interpretare queste ultime in maniera per quanto possibile conforme agli accordi (v. sentenza del 7 giugno 2007, Řízení Letového Provozu, C-335/05, EU:C:2007:321, punto 16 e giurisprudenza ivi citata). È inoltre pacifico che l’Unione è vincolata dalla convenzione di Aarhus. Inoltre, dalla giurisprudenza risulta che l’assenza di effetto diretto di una disposizione di un accordo internazionale non osta alla sua invocazione ai fini di un’interpretazione conforme del diritto dell’Unione. Di conseguenza, per esempio, sebbene la giurisprudenza abbia constatato l’assenza di effetto diretto dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus (v., in tal senso, sentenze dell’8 marzo 2011, Lesoochranárske zoskupenie, C-240/09, EU:C:2011:125, punto 45, e del 13 gennaio 2015, Consiglio e a./Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht, da C-401/12 P a C-403/12 P, EU:C:2015:4, punti 55 e 61), essa ha tuttavia riconosciuto, nonostante detta assenza di effetto diretto, un principio di interpretazione conforme del diritto derivato alla luce di tale disposizione (v., in tal senso, sentenza dell’8 marzo 2011, Lesoochranárske zoskupenie, C-240/09, EU:C:2011:125, punto 51).
Nel caso di specie va rilevato che le ricorrenti non hanno dimostrato che l’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1049/2001 debba necessariamente essere interpretato nel senso dalle stesse asserito per garantire la sua conformità all’articolo 4, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus. Si deve ricordare che la giurisprudenza del giudice dell’Unione già riconosce che le eccezioni al diritto di
accesso ai documenti devono essere interpretate e applicate restrittivamente (v. punto 97 supra).
Anche ammesso che l’affermazione non comprovata delle ricorrenti debba essere interpretata nel senso che esse ritengano che tale giurisprudenza debba essere ancora più restrittiva, è giocoforza rilevare che un’interpretazione conforme all’articolo 4, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus non impone l’obbligo di giungere al risultato dalle medesime voluto (v., per analogia, sentenza del
23 gennaio 2017, Justice & Environment/Commissione, T-727/15, non pubblicata, EU:T:2017:18, punto 78). Tale argomento dev’essere, pertanto, respinto.
Devono essere parimenti rigettati gli argomenti delle ricorrenti secondo cui, da un lato, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus, gli interessi commerciali potrebbero prevalere unicamente qualora costituissero interessi tutelati dalla legge per salvaguardare un legittimo interesse economico e, dall’altro, interessi del genere avrebbero avuto una portata limitata conformemente all’articolo 13 della direttiva 91/414 (v. punto 95 supra). Va rilevato, infatti, che le ricorrenti non fanno valere alcun elemento atto a dimostrare che gli interessi commerciali invocati nel caso di specie non sarebbero tutelati dalla legge al fine di salvaguardare un legittimo interesse economico. In ogni caso, al pari della Commissione, è giocoforza rilevare che gli interessi commerciali dei richiedenti l’iscrizione del glifosato nell’allegato I della direttiva 91/414, in particolare i loro diritti di proprietà intellettuale, sono tutelati dalla normativa dell’Unione, vale a dire dall’articolo 14 della direttiva 91/414, che è stato sostituito dall’articolo 63, paragrafo 2, del regolamento n. 1107/2009, a decorrere dal 14 giugno 2011, come risulta dall’articolo 84 del regolamento medesimo. Quanto all’argomento relativo all’articolo 13 della direttiva 91/414, sostituito dall’articolo 59 del regolamento n. 1107/2009, va rilevato, al pari della Commissione, che tale disposizione riguarda i test e gli studi vertenti sulla sostanza attiva, e non sui documenti come quelli di cui trattasi nel caso di specie concernenti, in particolare, il metodo di fabbricazione di una sostanza del genere. Infatti, tali informazioni rientrano nell’ambito del trattamento riservato di cui all’articolo 14 della direttiva 91/414, sostituito dall’articolo 63, paragrafo 2, del regolamento n. 1107/2009.
In secondo luogo, riguardo alla ponderazione degli interessi in gioco, come correttamente dedotto dalla Commissione, quest’ultima, nella decisione impugnata, ha informato le ricorrenti dell’eccezione su cui le autorità tedesche si basavano per negare l’accesso al documento controverso, vale a dire l’articolo 4, paragrafo 2, primo trattino, del regolamento n. 1049/2001, presentando in dettaglio le informazioni che, secondo le autorità medesime, riguardavano i diritti di proprietà intellettuale. È stato quindi fatto riferimento alla composizione chimica dettagliata della sostanza attiva, alle informazioni dettagliate sul suo processo di fabbricazione, alle informazioni sull’analisi chimica della sostanza e di tutte le sue impurità, alla composizione dei prodotti finiti e alle informazioni sui rapporti contrattuali tra le diverse imprese che avevano notificato la sostanza.
Sul fondamento dell’eccezione invocata dalla Repubblica federale di Germania, la Commissione ha negato la divulgazione del documento controverso.
Tuttavia, la Commissione ha effettuato una ponderazione degli interessi commerciali con l’interesse pubblico alla divulgazione del documento controverso, esaminando specificamente il rischio di pregiudizio ai diritti di proprietà intellettuale dei richiedenti l’iscrizione. Essa ha rilevato che il documento controverso riguardava il processo di fabbricazione dei prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva e che l’esigenza di tutelare i diritti di proprietà intellettuale prevaleva sull’interesse pubblico alla divulgazione di detto documento. Essa ha insistito sui rischi per i richiedenti l’iscrizione che i loro concorrenti copiassero i dettagli dei loro metodi di produzione e delle specifiche tecniche del glifosato. A parere dell’Istituzione, una circostanza del genere comporterebbe perdite considerevoli di quote di mercato per le imprese in questione e impedirebbe la tutela dei loro diritti di proprietà
intellettuale.
Inoltre, la Commissione ha osservato che l’interesse pubblico alla divulgazione era stato sufficientemente preso in considerazione, poiché le altre parti del progetto di relazione, interamente divulgate, consentivano di conoscere i possibili effetti del rilascio del glifosato nell’ambiente, elencando poi i diversi elementi rilevanti che erano stati divulgati. La Commissione ha anche affermato che la divulgazione delle informazioni sulle impurità non pertinenti, incluse nel documento controverso, consentirebbe di ricostruire il processo di fabbricazione di ciascun prodotto, ricordando i rischi per i diritti di proprietà intellettuale dei richiedenti l’iscrizione del glifosato.
La Commissione si è avvalsa della procedura secondo cui la sostanza attiva era stata valutata e inserita nell’allegato I della direttiva 91/414, in particolare delle valutazioni scientifiche alle quali erano stati sottoposti i fascicoli ai fini dell’iscrizione. L’Istituzione ha ritenuto che le informazioni sugli effetti del glifosato, pubblicamente disponibili, a seguito della procedura d’iscrizione della sostanza e della domanda di accesso ai documenti formulata dalle ricorrenti, rispondessero ai requisiti del regolamento n. 1367/2006.
La Commissione ha concluso la ponderazione degli interessi in questione rilevando che, a fronte dei rischi che la divulgazione delle informazioni comportava per i processi concreti di fabbricazione e per i diritti delle imprese, dovesse prevalere la tutela degli interessi di queste ultime.
Ciò premesso, occorre quindi affermare che la Commissione ha correttamente ponderato gli interessi in gioco, avendo precisato in modo specifico e concreto in qual misura gli interessi commerciali dei produttori del glifosato o di prodotti fitosanitari che lo contenevano fossero minacciati dalla divulgazione del documento controverso.
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre respingere il terzo motivo nonché il ricorso in toto.